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Gli Aspetti Vegetazionali

Dei Colli Berici

La vegetazione dei Colli Berici è caratterizzata da una straordinaria mescolanza di essenze diverse, ora più termofile, di ambiente cioè a clima caldo, ora più microterme, solite a vivere ad altitudini ben superiori a quelle massime raggiunte dal rilievo berico.

Questa particolare situazione è imputabile alle variazioni climatiche succedutesi nell'ultimo milione di anni: durante le fasi glaciali dei Quaternario giunsero a più riprese sui Berici specie microterme, solitamente presenti alle alte quote delle vicine Prealpi (la betulla verrucosa o Betula pendula, la pulsatilla o Pulsatilla montana e l'epimedio o Epimedium alpinum, tra le altre).

In seguito, con il miglioramento del clima, che si attuò nel corso delle fasi intergiaciali, il territorio fu colonizzato da altre specie, mesofile o addirittura termofile. Sia le flore glaciali sia quelle interglaciali, nel loro ripetuto alternarsi, lasciarono alcune specie nei microambienti più favorevoli, dove si conservarono intatte fino ai giorni nostri, veri e propri "relitti" di situazioni climatiche oggi non più presenti sui Colli Berici. Analoghe fluttuazioni climatiche del periodo postgiaciale, non altrettanto estreme, favorirono l'immigrazione di specie di clima oceanico (es. la laureola o Daphne laureola), che oggi sono confinate nelle valiette più umide, e altre a carattere invece continentale-steppico, che vivono solo nei luoghi più aridi ed esposti (es. il lino delle fate o Stipa pennata).

Il tutto inserito nel quadro di una più diffusa e comune flora euroasiatica. L’individuazione della distribuzione soprattutto delle specie arboree e arbustive sui Colli Berici si ricollega alla definizione di alcuni ambienti, che presentano delle caratteristiche prevalenti se non peculiari, anche se poi, sul terreno, questa classificazione non sempre risulta di facile lettura, dal momento che il passaggio da un ambiente all'altro è, il più delle volte, piuttosto graduale e indistinto. Un primo ambiente è costituito dalle formazioni calcaree della scogliera di età oligocenica, caratterizzata soprattutto da pareti rocciose verticali, estese lungo una fascia pressoché continua da Costozza e da Lumignano fino a San Donato di Villaga.

Qui il processo di incarsimento appare piuttosto pronunciato per la presenza, alla base delle pareti ma anche in corrispondenza di alcuni livelli superiori, di semplici rientranze o ripari sotto roccia, di nicchie o di vere e proprie cavità naturali non molto profonde, i caratteristici covoli.

Su questi versanti ripidi e spogli, soggetti a un’accentuata esposizione ai raggi solari e piuttosto aridi, riescono a vivere alcune specie legnose come il pero corvino (Amelanchíer ovalis), il terebinto (Pistacia terebinthus), lo scotano (Cotynus coggygria) e il bagolaro (Celtis australis). Nella zona di Lumignano è presente poi sporadicamente l'unico endemismo vegetale dei Colli Berici, la Saxífraga berica dai delicati e candidi fiori.

Quella parte dell'ambiente rupestre, la cui formazione appare però condizionata dall'intervento dell'uomo, che in passato ha notevolmente diboscato alcune aree con conseguente denudamento del suolo, ospita la boscaglia xerotermofila, con una vegetazione spontanea prevalentemente arbustiva e cespugliosa.

Accanto allo scotano e al terebinto, compaiono la marruca (Paliurus spinachristi), il ciliegio canino (Prunus mahaleb), l'asparago pungente (Asparagus acutífolius), l'orniello (Fraxinus ornus) e la roverella (Quercus pubescens). L'ambiente rupestre passa poi gradualmente, soprattutto alle quote più elevate, al querceto terrenofilo a roverella, che si instaura più facilmente là dove siano presenti un suolo superficiale e condizioni microclimatiche caldo-aride.

Alla roverella e all'orniello, essenze prevalenti di questo ambiente vegetazionale, si accompagnano anche il carpino nero (Ostrya carpinifolía) e alcune specie più esigenti in fatto di bilancio idrico: l'acero campestre (Acer campestre), il cerro (Quercus cerris) e la fusaggine (Euonymus europaeus).

Sull'altopiano sommitale e in quelle aree in cui si instaurano un suolo più profondo e una esposizione più fresca, il carpino nero tende a prevalere sulla roverella.

Questa formazione forestale, la più diffusa sui Colli Berici, prende il nome di ostrioquerceto e mostra la graduale rarefazione delle specie più termofile (marruca, terebinto, asparago pungente e scotano) a vantaggio del nocciolo (Corylus avellana) e di alcune caratteristiche essenze mesofile: il fior di stecco (Daphne mezereum), il biancospino selvatico (Crataegus oxyacantha), fino al carpino bianco (Carpinus betulus), all'acero di monte (Acer pseudopiatanus) e al castagno (Castanea satíva).

Il castagneto vero e proprio, sopravvissuto in alcune ristrette porzioni di rifugio alle fasi glaciali quaternarie e favorito per di più dall'opera di diffusione operata dall'uomo, è ancora presente sui Colli Berici nelle aree più settentrionali e sui versanti esposti a nord.

Al castagno, che predilige terreni profondi ed esposizioni fresche, si accompagnano, oltre al carpino nero, il nespolo (Mespilus germanica), il biancospino selvatico, il ciliegio selvatico (Prunus avium) e il faggio (Fagus selvatica, quest'ultimo divenuto ormai estremamente raro sul rilievo collinare e con una distribuzione quasi puntiforme.

Ai piedi dei Colli Berici, principalmente sui versanti esposti a settentrione (Vai Bassona, Breganzola, Valli cli Sant'Agostino) si trova il querco-carpineto, con una estensione molto ridotta, quasi in situazione relitta, e caratterizzato dalla presenza dorninante dei carpino nero e della farnia (Quercus robur).

In corrispondenza delle incisioni più o meno profonde (i caratteristici scaranti), che solcano i versanti dei Colli Berici, si incontra l'ambiente di forra, piuttosto umido e, soprattutto nel periodo estivo, scarsamente raggiunto dalla luce del sole.

Nelle vallette esposte a meridione si trovano gli alberi e gli arbusti tipici del castagneto e degli ambienti più mesofili, tra cui l'acero di monte. in quelle, invece, che si sviluppano sui versanti a settentrione compaiono il tiglio nostrano (Tilia platyphyllos), l'olmo montano (Ulmus _qlabra), il sambuco nero (Sambucus nigra) e il fior d'angelo (Phiíadelphus coronarius).

L’ambiente di pianura, che circonda i Colli Berici insinuandosi anche in profondità nel rilievo lungo le valli principali, ha risentito nel corso dei secoli dell'intervento modificatore dell'uomo, che quasi ovunque ha sistematicamente eliminato la vegetazione spontanea originaria, bonificando i suoli un tempo paludosi e creando vaste porzioni coltivabili. Alcune aree umide di pianura (Valli di Sant'Agostino, Val Liona e, in parte, Valli di Fimon), conservano tuttavia ancora oggi alcuni residui elementi vegetazionali di notevole pregio e interesse.

Sono, in particolare, le siepi igrofile, che consentono la presenza di specie autoctone, altrove scomparse: l’ontano nero (Alnus glutinosa), lo spincervino (Rhamnus catharticus), la frangola (Frangula alnus), il pallon di maggio (Vibumus opulus), il salice cenerino (Salix cinerea).

Dove però l'azione dell'uomo è stata più incisiva, si sono diffuse maggiormente le specie esotiche, che hanno lentamente scalzato, nel tradizionale paesaggio rurale veneto, quelle originarie: è il caso del platano (Platanus hybrida), del gelso bianco (Morus alba), del gelso da carta (Broussonetia papyrifera) e soprattutto della robinia (Robinia pseudoacacia).

Nei pressi dei nuclei abitati, lungo le strade e, più in generale, là dove l'alterazione dell'ambiente è stata maggiore, la composizione vegetazionale originale ha lasciato il posto a quelle essenze, come la robinia e l'ailanto (Aílanthus altissima), che si sono velocemente diffuse grazie alla loro frugalità e all'estrema capacità di proliferazione, creando porzioni di bosco del tutto innaturali.


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